L’Ocse bacchetta l’Italia sul reddito di cittadinanza, il cavallo di battaglia del M5S, da poco introdotto in via ufficiale. L’Organizzazione con sede a Parigi conferma nel rapporto sull’occupazione che «il livello attuale del sussidio è elevato rispetto ai redditi mediani italiani e relativamente a strumenti simili negli altri paesi Ocse». Traduzione: è troppo alto secondo l’Ocse. In Italia gli ultimi dati dicono che lo stipendio medio è di 1.570 euro, mentre l’importo medio del reddito di cittadinanza è di 540 euro.
Da monitorare
«La messa in opera» del redditto di cittadinanza, «dovrà essere monitorata attentamente per assicurare che i beneficiari siano accompagnati verso adeguate opportunità di lavoro». Di più. Il problema è tutto quello che ruota attorno al redditto, cioè i navigator e i centri per l’impiego. «Il sistema italiano di servizi pubblici per l’impiego manca di personale qualificato, di strumenti informatici e di risorse adeguate e, per queste ragioni, la qualità dei servizi è bassa e varia notevolmente attraverso il paese. Oltre ad ulteriori risorse, occorre migliorare il coordinamento tra le autorità centrali e quelle regionali responsabili dell’implementazione delle politiche attive, anche attraverso linee guida comuni per un miglioramento dei servizi per l’impiego».
Sottoccupati
«La quota di lavoratori sotto occupati in Italia è più che raddoppiata dal 2006, ed è ora la più alta tra i paesi Ocse». La quota di lavoro temporaneo, rileva ancora, «è superiore alla media Ocse ed è cresciuta notevolmente nell’ultimo decennio». I contratti a tempo determinato si collocano al 15,4 per cento del lavoro dipendente contro una media nell’area Ocse dell’11,2 per cento; quelli a tempo parziale breve (1-19 ore settimanali) al 15,2 per cento del lavoro dipendente contro una media Ocse al 15,9 per cento.
Buone e cattive notizie
Il rapporto, inoltre, rivela che «è improbabile un forte calo dell’occupazione complessiva nonostante una preoccupazione diffusa che i cambiamenti tecnologici e la globalizzazione possano distruggere molti posti di lavoro». Ma anche che «il sistema italiano di formazione permanente non è attrezzato per le sfide future».